mercoledì 29 ottobre 2008

Dalla Padella alla Brace...

Oggi il Senato vota l'approvazione del decreto Gelmini. In tutta Italia studenti e docenti manifestano, sfilano organizzano sit-in per dare voce al loro dissenso. La propria opposizione a un disegno di legge che prevede tagli immani alle risorse scolastiche. Tagli camuffati, diluiti fra le righe, nascosti fra i richiami alle varie leggi che negli ultimi anni hanno fatto colare a picco la qualità della scuola italiana. Leggi che si sono succedute in un lasso di tempo brevissimo, creando lacune, confusione, incertezze. Gli istituti scolastici si sono trasformati in aziende da dirigere, prestando più attenzione ai fondi che ai reali bisogni dei docenti e degli studenti. Si sono creati crediti, debiti, attività extra-scolastiche completamente inutili, si è istituito un doppio ciclo per la laurea (a cui spesso devono seguire un numero imprecisato di master). Si è voluto imitare un modello, quello anglosassone, inattuabile nel nostro Paese. Destinato a fallire come accade ogni volta che si tenta di impiantare un sistema estraneo alle basi culturali e gestionali che dovrebbero supportarlo.
In questo scenario è comparsa il Ministro Gelmini che cavalcando l'onda del revisionismo che sembra aver colpito l'Italia negli ultimi tempi ha deciso che bisognava fare un passo indietro, tornare alla scuola "com'era una volta". Idea che in teoria poteva essere anche apprezzabile. Ma in realtà il decreto Gelmini appare piuttosto come una manovra finanziaria di un Governo soffocato dalla crisi economica. Un Governo che con scarsa lungimiranza ha promesso l'abbassamento delle tasse, l'abolizione dell'ICI, senza però spiegare come avrebbe compensato questi tagli. Un Governo che si è trovato spiazzato di fronte alla mole di proteste che si è levato contro questo decreto. Un Governo sordo, ottuso che ha risposto alle manifestazioni di dissenso minacciando l'uso della forza, per poi ritornare sui suoi passi. Un Governo che non riuscendo ad aprire un canale di confronto serio, in quanto incapace nel spiegare l'utilità dei cambiamenti previsti, si trincera dietro un muro dal quale cerca di ridicolizzare la controparte. Una controparte, però, che a differenza delle molte proteste avvenute negli ultimi anni (okkupazioni e manifestazioni che purtroppo da molti venivano vissuti come momenti di svago, un'alternativa alle solite lezioni, spesso non supportate dal corpo docente) ha gestito la protesta in modo intelligente. E questo grazie anche agli insegnanti che questa volta si sono schierati al fianco dei loro studenti.
Io spero che il decreto venga rimandato alla Camera anche se sono consapevole che non succederà. E allora mi auguro che le manifestazioni di protesta continuino. In modo intelligente, come è avvenuto fino a ora. Senza scadere nelle marcette dove sventolano bandiere che non c'entrano nulla con il problema che si sta affrontando. Perché in questo momento storico, in Italia, i colori politici si mischiano, i confini si fanno labili e il sentore è quello che la classe politica in generale sia diventata una casta intenta a curare i propri interessi personali disinteressandosi completamente del benessere e delle esigenze del Paese.
(Ndr: il decreto Gelmini è stato approvato, come da copione)
Concludo con alcuni estratti dai giornali di oggi. Nel mio piccolo cercherò di oppormi a questo Governo in ogni modo:

" Cossiga: "Pci applaudì quando feci picchiare studenti"

"Quando ho fatto picchiare a sangue gli studenti che avevano contestato Lama il gruppo del Pci in piedi in aula mi ha tributato un unanime applauso. ma erano i tempi di Berlinguer, non di Walter Veltroni, di Natta e non di Franco Marini. Erano i tempi del glorioso Partito Comunista". Lo ha dichiarato, in aula al Senato, il senatore a vita Francesco Cossiga.


(qui la precedente 'esternazione" del senatore a vita Francesco Cossiga)

Bologna, maschere in corteo I manifestanti di Bologna sono tutti a lutto e sfilano tenendo in mano fiaccole e ceri funebri. Ci sono inoltre dei trampolieri travestiti da "morte" che viene a uccidere la scuola pubblica e da "cieco" che non riesce più a trovarla. Gli studenti del polo artistico sfilano portando in spalla una bara, altri bambini sono travestiti da fantasmi, e tante altre persone tengono in mano dei lumini.

Manifestazione a Bologna Sono oltre cinquemila tra alunni, insegnanti, genitori, studenti medi ed universitari gli "orfani" della scuola pubblica che stanno manifestando in corteo per le vie del centro storico di Bologna. I manifestanti si sono ritrovati in piazza Maggiore e con centinaia di ceri hanno composto una scritta sul "Crescentone". "Fermatevi", è questo il grido che arriva dalla piazza diretto verso il governo. "


E ora passiamo a qualcosa di più faceto se no rischio la gastrite. Questo piatto è una rivisitazione di un classico della mia famiglia : il coniglio alla cacciatora. La scorsa settimana mi aggiravo nel mercatino vicino a casa mia e mentre mi perdevo nei meravigliosi colori dei prodotti autunnali (zucche, biete, funghi...slurp) la mia attenzione è stata dirottata verso il banco del macellaio. Avevo voglia di sperimentare qualcosa che non fosse la solita fettina alla piastra. E così sull'onda dei ricordi ho comprato delle cosce di coniglio. Il risultato è stato ampiamente apprezzato dalla carnivora weazel, sempre più convinta che le doti culinarie siano legate alla genetica

Coniglio alla birra



Ingredienti per quattro persone: 4 cosce di coniglio/ mezza cipolla bionda/ una carota di medie dimensioni/ 8 chiodi di garofano/ una decina di bacche di ginepro/ 3 patate di medie dimensioni/ 10-15 pomodori ciliegia/ 66 cl di Paulaner

Lavate il coniglio con acqua corrente fredda. Ponetelo in una ciotola e coprite con abbondante olio extravergine di oliva, massaggiando la carne in modo da ungerla bene su tutti i lati. Unite i chiodi di garofano, le bacche di ginepro e un'abbondante spolverata di pepe. Sigillate con pellicola trasparente e ponete in frigo per almeno una mezz'ora. Nel frattempo sminuzzate la cipolla e la carota, pulite e sbucciate le patate e riducetele in piccoli spicchi. Con un coltello ben affilato pelate i pomodori, tagliateli in quattro ed eliminate semi e acqua di vegetazione. In una padella capiente soffriggete con un filo d'olio la cipolla e la carota. Unite le cosce di coniglio e fate colorire da tutti i lati. A questo punto aggiungete la birra. Tenendo la fiamma media, coprite parzialmente la padella e fate restringere fino a che il liquido non si è dimezzato (circa quaranta-cinquanta minuti). A questo punto unite le patate e i pomodorini e continuate la cottura fino a che le patate non sono diventate morbide. Aggiustate di sale e pepe poco prima di terminare la cottura. Servite le cosce con il sughetto di cottura, accompagnate da patate e pomodorini.

lunedì 27 ottobre 2008

Chocolate Fudge Cake to remember



Facebook
dilaga. E nonostante la totale inutilità pratica di questo sistema (se non quello di consentire gigantesche indagini di mercato a costo zero) ha un grande pregio: creare ponti. Strade che attraversano lo spazio ma soprattutto il tempo. Così può capitare di ritrovarsi un sabato pomeriggio a prendere un caffè con due ragazze che nella tua mente si erano fermate 15 anni prima. Due donne in gamba, che fatico a sovrapporre all'immagine che ho di loro a 10 anni. E' stato strano. E' stato bello. E per fortuna non imbarazzante. La vita scorre, le persone si perdono di vista, prendono strade diverse dalla tua e anche in una città come Bologna dove i sei gradi di separazione si riducono spesso a uno, è facile non avere più notizie di gente con cui hai condiviso cinque anni della tua esistenza. Ho sempre evitato le cene con gli ex- compagni di classe. Quelle poche a cui ho partecipato mi avevano intristito. Sacche di imbarazzo, fra un pezzo di pizza e l'altro. Perché le cose sono cambiate e così le persone. Ma questa volta no. Marina e Priscilla sono cresciute, ma sono diventate delle bellissime donne. Divertenti. Sensibili. Grazie per lo splendido pomeriggio. Questa torta è per voi!

Chocolate Fudge Cake



Ingredienti: 200g di cioccolato al 70%/ 180g di cioccolato al 60%/ 260g di burro/ 5 uova/ 250g di zucchero di canna/ 5 cucchiai di acqua
1.Preriscaldate il forno a 170°. Ungete una tortiera di 20 cm di diametro e rivestitela con la carta forno (io ho usato uno stampo con cerniera).
2.Mettete il burro tagliato a dadini ed entrambe i tipi di cioccolata, spezzettati, in una ciotola abbastanza grande (dovrà contenere tutto l'impasto) e resistente al calore. In un pentolino unite lo zucchero e l'acqua, mescolate e portate a bollore a fuoco medio. Versate lo sciroppo bollente sul cioccolato e i burro e mescolate sino a ottenere una crema abbastanza densa ( se la cioccolata non dovesse sciogliersi completamente riscaldate la crema a bagnomaria fino a che i pezzi non si sono sciolti completamente). Incorporate i rossi d'uovo uno alla volta, mescolando energicamente. Mettete da parte fino a che la crema non avrà raggiunto la temperatura ambiente.
3.Ponete gli albumi e il sale in una ciotola capiente e montate a neve ferma ma non troppo asciutta. Con una spatola aggiungete al composto di cioccolato i bianchi montati un terzo alla volta ( non preoccupatevi se si vedranno ancora pezzettini di albume nel composto).
4.Versate 800g (circa i 2/3) del composto nella tortiera e infornate per circa 40 min. (infilando uno stuzzicandenti nel centro della torta deve uscire asciutto). Trascorso il tempo necessario togliete la torta dal forno e lasciatela raffreddare completamente all'interno dello stampo.
5.Una volta fredda livellate la superficie della torta con il dorso di un cucchiaio senza preoccuparvi di rovinare la crosta. Versate il resto del composto al cioccolato e livellate ancora la sommità. Rimettete in forno (sempre caldo a 170°) e cuocete per altri 25 min. La torta dovrò essere umida. Lasciatela raffreddare completamente prima di toglierla dalla tortiera. Spolverate con cacao amaro e servite.



Buona settimana!

giovedì 23 ottobre 2008

Pesto di Corsa

L'ambulatorio è di un bianco che fa male agli occhi. Camici candidi si muovono lungo il corridoio, mimetizzandosi con le pareti. Sembra che le teste fluttuino nell'aria, prive di un corpo su cui poggiare. Sono decisamente la persona più giovane in sala d'aspetto. Registro questo dato con un certo disappunto. I minuti scorrono lenti, dilatati. Un bolla di noia all'odore di disinfettante. Leggo qualche pagina del libro che ho portato, ma non sono attenta. I miei occhi accarezzano le parole, riconoscono i contorni delle lettere, ma il mio cervello si rifiuta di assimilare i concetti. E' troppo impegnato a figurarsi scenari apocalittici, a ricordare il dolore della riabilitazione, a sentire vecchie aderenza che si sbriciolano.
Una suora con circa un migliaio di anni si trascina verso la guardiola. La sua schiena disegna un improbabile angolo retto. Distrattamente mi chiedo se in questo reparto di ortopedia non ci sia nessuno in grado di darle una raddrizzata. Poi mi rispondo che magari quella naturale genuflessione le è utile nel suo "lavoro". Cattiva, pensiero poco nobile dettato dall'attesa snervante.
Finalmente arriva il mio turno. Il medico è gentile. Mi fa accomodare nel suo studio. La lavagna luminosa conferisce all'ambiente un bagliore alieno, freddo. Si ricorda di me, nonostante siano passati più di due anni.
Si è operata d'estate....Sì....E mi ricordo che faceva un qualche tipo di arte marziale...Esatto, faccio muay thai...Bene, bene si tolga pure i pantaloni e si sdrai sul lettino.
Detto così sembra una proposta indecente e invece afferra la mia gamba saldamente e comincia a tirare, torcere, piegare. Temo che la tibia si stacchi dal resto del corpo, come quando da bambina mi dilettavo a torturare le Barbie. E invece il ginocchio regge.
Perfetto, un po' lasso, ma tutto nella norma data l'operazione. Il medico mi guarda, sorride compiaciuto e decreta il verdetto: Signorina, lei può tranquillamente prepararsi per la MARATONA!

Ebbene sì ho il via libera per tentare l'impresa. Sarà un percorso lungo e faticoso. Spero davvero di riuscire a portare a termine questa avventura. La weazel mi sarà vicina, per darmi la costanza e lo sprone nei momenti più duri. Festeggio la buona notizia con un regalo. Fiordisale...questo è per te!

Pesto ai Broccoli



Ingredienti: broccoli (solo le cime più tenere)/ un mazzetto di basilico/ 50g di mandorle/ parmigiano e pecorino grattugiati/ olio evo di ottima qualità (io ho utilizzato un olio pugliese)

Saltate le cimette dei broccoli in una padella con un goccio di olio uno spicchio d'aglio tagliato a metà, sale e una presa di peperoncino. Dopo qualche minuto aggiungete mezzo bicchiere di acqua calda, coprite con un coperchio e lasciate cuocere a fiamma media per circa 15 minuti o fino a che i broccoli non sono diventati teneri. Scolateli e lasciateli raffreddare. Nel frattempo triturate le mandorle a coltello fino a ottenere una granella (non usate il minipimer o il frullatore, in quanto ridurrebbero le mandorle in polvere. Se avete un mortaio potete utilizzare quello). Ponete i broccoli raffreddati e le foglie di basilico in un baker e aggiungete l'olio (io ho usato circa mezzo bicchiere). Con il minipimer a immersione frullate gli ingredienti fino ad ottenere una crema abbastanza fluida. Unite le mandorle triturate e i formaggi grattugiati. Mescolate per amalgamare bene gli ingredienti e se necessario aggiungete altro olio.

Concorso Pesto 2008

martedì 21 ottobre 2008

Piove

Piove. Finalmente. Guardo fuori dalla finestra. Bologna è una bolla grigia. Quattro piani più in basso la gente cammina veloce, sotto gli ombrelli. Sembrano strani animali anfibi. Il timer del forno ticchetta, un metronomo mescolato ai suoni della strada, della città. Una candela brucia sulla scrivania. Sottili volute di fumo alla vaniglia si alzano serpentesche dal cilindro lattiginoso. Pozze trasparenti riflettono la danza della fiamma. Mi alzo, vado in salotto. Godo della folata di calore e profumo che mi accarezza quando passo davanti al forno. Il divano è un caldo rifugio.Ci sono libri che colpiscono profondamente. Alcuni per ciò che raccontano, altri per ciò che rivelano al mio cuore. Visualizzo l'uomo alto, rasato. I tatuaggi risplendono sotto il sole canadese. Vedo le sue insicurezze, le sue paure. Sbircio nel suo mondo interiore che traspare dalla carta. E' diverso rispetto a quando ci conta le flessioni. Ho la sensazione di sbirciare attraverso lo spioncino di una porta segreta. Molti leggeranno questo diario, ma io lo conosco, io posso dare un volto a colui che racconta.
Lo strillo acuto del timer mi distoglie da questi pensieri, richiamandomi all'ordine. Devo andare a sfornare la torta, amico mio. Ma tornerò presto, per fluire con te nel Grand River.

Quiche agli spinaci



Ingredienti: un rotolo di pasta sfoglia confezionata/ 150g di prosciutto cotto/ 500g di ricotta vaccina/250 g di spinaci surgelati (se li avete usateli freschi)/ 2 uova/ 2 sottilette (potete anche usare scamorza o fontina)/ parmigiano e pecorino grattugiato (per la quantità io sono andata a occhio, ma indicativamente direi 100g di ciascun formaggio)/ sale/pepe/ noce moscata

Fate cuocere gli spinaci al vapore fino a che non sono morbidi. Nel frattempo in una ciotola mescolate la ricotta, il parmigiano, il pecorino, le due uova, il sale, il pepe e la noce moscata. una volta cotti, strizzare bene gli spinaci e sminuzzateli, poi uniteli alla crema di ricotta. Ritagliate dal bordo del disco di pasta sfoglia una striscia di pasta larga un centimetro che vi servirà per fare la griglia. Disponete il disco di pasta sfoglia nella tortiera rivestita di carta forno. Distribuite sul fondo le fette di prosciutto cotto, poi ricopritele con la crema di ricotta e spinaci. Decorate con striscioline di sottiletta (o scamorza) ed infine utilizzando la striscia di pasta tenuta da parte e tagliata a listarelle create una griglia. Ripiegate il bordo della pasta verso l'interno aiutandovi con una forchetta. Infornate a 180° per circa 30 min o fino a che la pasta sfoglia non è diventata dorata.

giovedì 16 ottobre 2008

Profumo di Cose Antiche



Ci sono giornate in cui scopri nuovi aspetti della tua città. Basta una telefonata. E una mamma che adora stipare la casa di piccoli oggetti, possibilmente luccicanti e tendenzialmente kitch. E ti ritrovi la domenica pomeriggio a girare fra file di bancarelle disordinatamente disposte in Piazza Santo Stefano, osservando pezzi di antiquariato e modernariato. Semplice no?!?!?



Cornici, stampe, borsette, pizzi che sembrano usciti dal corredo della nonna, vecchie reflex e polaroid che ammiccano da un piccolo banchetto. La gente è allegra, chiacchiera, ride. Un gruppo di signore della Bologna bene, avvolte nei loro splendidi Chanel, in cerca di un'occasione; un servizio da tè, qualche bicchierino da liquore in cristallo per abbellire le credenze dei loro salotti monumentali



Resisto alla tentazione dell'acquisto compulsivo. Ho strategicamente evitato di fare il bancomat. Così mi accontento di volteggiare fra la merce esposta, scattando foto e godendomi l'euforia ordinata che trasforma il volto di questa bellissima piazza.





E dopo questa sfilata di antichità non c'è nulla di meglio che una bella fetta di CROSTATA DI MELE. Perfetta con un tè profumato, sa di cose buone, di tramonti la domenica pomeriggio, di casa, di coccole. La ricetta è quella collaudatissima di MarinaB, io ho solo diminuito la quantità di zucchero (150g). Vi riporto la ricetta per comodità
Ingredienti: 200 gr di farina 00/ 150 gr di zucchero/ 150 gr di burro morbido/ 2 uova intere + 1 tuorlo (sbattuti)/ scorza di limone grattugiata/ una bustina di cremor tartaro/ 1 pizzico di sale
Procedimento: Mescolare tutti gli ingredienti secchi e aggiungere la miscela di uova e infine il burro morbido. Ne risulta una crema densa. Versare in tortiera (24-26 cm) rivestita di carta forno o precedentemente imburrata.
Dopodiché ho decorato con spicchi di mela lasciati una mezz'ora a macerare con 2 cucchiai di zucchero e cannella. Infornare a 180 gradi per ca. 35-40 min.
Davvero un finale spettacolare per una bellissima domenica


E con questa semplicissima ricetta partecipo alla raccolta di Essenza di Vaniglia!

domenica 12 ottobre 2008

Thailandia 3^ parte: Ayuttaya - Chiang Mai



Lasciamo Kanchanaburi presto. Il caldo si fa sentire, grava umido sulla pelle. Sistemo meglio lo zaino sul sedile del pullman e mi godo il pigro scorrere del tempo. Ritrovo il gusto del viaggio, assaporo quelle bolle di assoluto nulla a cui si è costretti quando si decide di utilizzare mezzi di trasporto lenti. In un mondo in cui spesso le distanze sono polverizzate dalla tecnologia scopro il piacere dello spostamento, dell'avventura.
Ayuttaya è un'ostrica. Grigia, senza un particolare fascino. Un susseguirsi di bassi e fatiscenti palazzi lungo una via trafficata. Ma custodisce perle di rara bellezza. Antica capitale del regno del Siam, per secoli ha rappresentato uno degli snodi commerciali più importanti dell'estremo oriente. Qui sono passati cinesi, giapponesi, olandesi, inglesi, portoghesi. E la sua importanza si è tradotta in una serie di wat di incomparabile bellezza.



Raggiungiamo il molo delle barche a lunga coda mentre il sole si abbassa sull'orizzonte. La chiglia fende le acque limacciose, macchiate dal verde di enormi ninfee.
Il wat Phanan Choeng è un tempio ancora in uso. Numerosissimi fedeli affollano le sale, bruciano ceri e incensi, attaccano lamelle d'oro alle varie statue del Buddha. Il fumo denso e profumato fa lacrimare. Mentre il tramonto colora il cielo la gli occhi. L'atmosfera è festosa, ma al contempo carica di una gioiosa spiritualità. La barca si ferma alle rovine del Wat Phutthaisawan. Le pietre rosse dei chedi sembrano incendiarsi donando un riflesso rosato alle bianche pareti dei prang. L'effetto cromatico è sorprendente. Accarezzo con lo sguardo il profilo aggraziato dei Buddha, soffermandomi su quel sorriso così umano che ne adorna il volto.


La sera cala silenziosa sull'acqua. Ci fermiamo al mercato notturno poco prima che faccia buio, perdendoci fra le bancarelle di cibo e vestiti, incantati dai profumi e colori che riempono l'aria.


Il giorno successivo affittiamo un paio di bici. Le rovine dei wat sono imponenti, maestose. Piramidi di pietra finemente cesellate e scolpite. Naga e uomini uccello, giganteschi Buddha di pietra avvolti in teli arancioni, stupendi giardini in cui crescono alberi di bodhi e frangipane. Ogni angolo mostra gli antichi fasti di questa città, che ti si incastona dentro con la sua storia di principi e guerre.




Ci muoviamo di notte, verso nord. La strada è un susseguirsi di buche che si perde nel buio. Giungiamo a Chiang Mai all'alba. Le vie sono pressoché deserte, silenziose. Solo i monaci le animano con i loro sai arancioni, mentre passano di casa in casa per la questua giornaliera. Mani tendono riso e bibite, cestelli di plastica colmi di ciò che può servire per la cura del corpo. Frusciare di rosari, benedizioni sussurrate, un sacro brusio che si diffonde lungo i vicoli.



Chiang Mai è splendida. Qui visitiamo i più bei mercati della Thailandia. Distese di merce che si protendono per interi quartieri. Un'intero lungofiume occupato da centinaia di fiorai, mercati alimentari che vendono ogni sorta di cibo, dal pesce fresco, ai vermi fritti.



E templi, ovunque. Chiang mai è il primo centro religioso thailandese e vanta la concentrazione di wat e relative università più alta del paese. Le strade sono costantemente animate da frotte di studenti in divisa e giovani monaci con i libri sotto il braccio.



Visitiamo stupendi complessi monastici, di un candore abbacinante. Qui lo stile è fortemente influenzato dalla cultura birmana. gli stucchi e le lavorazioni in pietra tipiche di Ayuttaya lasciano il posto a stupendi pannelli in legno, lavorati con una dovizia di particolari inimmaginabile.



La nostra guida si chiama Non. E' un bel ragazzo, con la pelle scura e un sorriso disarmante. Parla molto bene inglese e mentre camminiamo nella giungla ci racconta della sua famiglia, delle tribù della montagna, di come si arrampicano sugli alberi della gomma per andare a prendere il miele, della raccolta dei vermi del bambù dopo la stagione delle piogge. Fra l'erba alta giace un enorme alveare caduto, ormai secco e disabitato. Fa venire i brividi. Questo trekking è duro, si avanza faticosamente fra la vegetazione più selvaggia, facendosi strada a colpi di machete fra le alte canne di bambù, liane e banani, ma è l'esperienza più esaltante che abbia mai vissuto in vita mia. Pranziamo al sacco, nei pressi di una cascata. Usiamo bacchette che Non ha costruito davanti ai nostri occhi utilizzando il bambù.



Poi ci tuffiamo, nuotiamo controcorrente per arrivare sotto il getto potente dell'acqua che cade da un paio di metri sopra la nostra testa. Nong mi afferra la mano e mi tira oltre la cortina di schiuma. Ci ritroviamo in un vilindro di roccia. Il rumore è assordante. La luce filtra da un pozzo, un soffitto di cielo e alberi.
Riprendiamo il cammino nella giungla, che improvvisamente lascia il posto a una radura vastissima che si inerpica sul lato di una collina di verde brillante. Campi di mais e risaie si alternano come pezzi di un patchwork d'oro e smeraldo.



Presto scorgiamo le prime capanne di lamiera e legno. Il villaggio degli Uhmong, una delle tribù di questa zona. Sono otto famiglie, una volta dediti alla coltivazione dei papaveri da oppio le cui piantagioni ora sono state riconvertite per la produzione di riso e cereali. La povertà è tangibile, ma anche qui è evidente una grande cura per la proprietà e per se stessi. Giochiamo con alcuni bambini e poi ripartiamo.



Il paesaggio mi riempe la mente. Sento la potenza, la forza ancestrale della natura, che qui sembra essere impressa in ogni pietre e stelo d'erba; nelle nuvole, in questo cielo tridimensionale impossibile da descrivere.
Chiang Mai ci ha conquistato. Posso ancora sentire l'adrenalina provocata da un contatto così ravvicinato con la potenza della natura, la serenità che mi hanno trasmesso i volti dei monaci con cui ci siamo fermati a chiacchierare, il gusto del cibo appena cucinato. La vacanza però volge al termine. Ultima tappa: Bangkok.

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